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Indiana Jones e il tempio maledetto (1984)

Archeologo, studioso, professore, esploratore. A tempo perso si occupa di profanare antichi templi indiani infestati da maledizioni ancestrali. Tutto questo è Indiana Jones.

C’è stato un periodo della mia vita, avrò avuto 4 o 5 anni, in cui le mie giornate erano riempite di poche cose, ma quelle poche cose erano ripetute fino allo stremo. Non sto a descrivere neanche cosa poteva significare per una piccola palletta triste che rotolava avere un amico come Super Mario (e, per inciso, è un mio amico ancora adesso). Se da una parte c’erano i videogiochi, dall’altra c’erano i film. Sarà capitato anche a voi, andando a pescare nei ricordi più remoti, di ricordarvi di quel film visto talmente tante volte da saperlo praticamente a memoria. Indiana Jones e il tempio maledetto era uno di quei (tanti) film.

Nulla importava che Indi e il suo piccolo aiutante Shorty dovevano attraversare stanze piene di insetti, uccidere a sangue freddo una settantina di predoni e mercenari cattivissimi, o assistere a sacrifici umani neanche troppo censurati. Mio nonno, buon’anima, non mancava di apostrofare mia madre, con l’aplomb di un impeccabile nobiluomo abruzzese quale era, dicendole: “Ma a shta creatura shte cose je fai guardà?!” Ma io non mi ponevo minimamente il problema.

Perché? La risposta mi è arrivata quando l’ho rivisto recentemente, a distanza di anni. Perché Indiana Jones è un fottuto Luna Park!!! Il tempio maledetto, dei quattro film, è forse quello che rompe un po’ di più il “canone” di Indiana Jones. Ha atmosfere più cupe e inquietanti legate a quell’immaginario distante e affascinante dei templi indiani. Ma già con il primo episodio di tre anni prima il vecchio Zio Steven aveva capito come far amalgamare perfettamente azione, terrore, archeologia, scenografie esotiche, umorismo e leggerezza. Doveva solo ripetere la formula magica e cambiare qualche elemento qui e lì. Il risultato è un film divertente e avvincente per ogni fascia di età e per ogni epoca. Cult senza se e senza ma, e il tempo continua a dargli ragione.

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Robert De Lirio

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