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The Hateful Eight (2015)

The Hateful Eight

Un western dai tratti gialli in pieno stile Tarantino.

Tarantino divide. Tarantino spacca. O lo si allontana, o lo si idolatra. The Hateful Eight rappresenta il punto di arrivo di questa spaccatura. Si compie forse un azzardo a definirlo un curatissimo esercizio di stile, ma tant’è. Nei suoi ultimi film, Quentin Tarantino ha diffuso il verbo del Pulp trattando contesti storici e alcune tematiche piuttosto delicate. Si veda il contesto nazista di Inglourious Basterds, o la questione razzista in Django Unchained.

In Hateful Eight, Tarantino ha deciso che i tempi erano abbastanza maturi per limitare il suo campo d’azione, ideologicamente e logisticamente: prende il western, un inverno gelido, i suoi dialoghi e i suoi personaggi e rinchiude il tutto dentro una casa di legno. Ecco come è nato quello che in stato embrionale doveva essere una pièce teatrale. Un film che si prende meno sul serio dei già citati, ma che è un’assoluta bellezza per gli occhi. Un film che nasce e vive per sé stesso.

“Il n***o nella stalla ha una lettera di Abramo Lincoln?!”

Non c’è una tematica o una precisa presa di posizione di fondo, ma ogni elemento, lo stesso razzismo tipico di quella precisa epoca storica, viene messo al servizio di una trama che assume anche delle tinte gialle, neanche fosse un racconto di Agatha Christie. Abbiamo la crème de la crème degli attori tarantiniani (Samuel L. Jackson su tutti, che assume i tratti di un perfido Poirot con cappello, pistola, e parlantina lacerante). Abbiamo scenografie e costumi curati al millimetro; una sceneggiatura che alterna ilarità e drammaticità, logorrea e silenzio, complessità e semplicità. Mettiamoci pure la colonna sonora da Oscar di Ennio Morricone, che ha ceduto a un corteggiamento da parte di Tarantino durato per anni, e il quadro è completo.

The Hateful Eight è un western puro, che strizza l’occhio al caro Sergio Leone, ma anche ad altri capolavori di genere come Il grande silenzio; è recente, è vero, ma è cult, non ci sono dubbi, ed il tempo gli darà ragione. Una raccomandazione però: per apprezzarlo appieno bisogna essere già avvezzi al linguaggio tarantiniano. Passate almeno per Pulp Fiction e Kill Bill, e poi tornate qui.

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Robert De Lirio

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