Nel 2005 mi fulmina Sin City, neo-noir tratto da un fumetto (no, non dirò mai graphic novel!) di Frank Miller. A dirigere ci sono Robert Rodriguez e lo stesso Miller, con un cammeo registico da un dollaro dell’onnipresente Tarantino. La trama del film è spezzata in 3 episodi (+1), uno più bello dell’altro. Il cast è semplicemente pazzesco (vedi sotto).
Penso a Sin City e immagino una cicca di sigaretta spegnersi contro il riflesso della luna su una pozza d’acqua, mentre una Cadillac sgomma oltre la curva. Vedo il marasma di sfigati affannarsi per un’occhiata della lap-dancer, l’uomo che la bacerà stasera sorseggia bourbon nell’angolo.
Difficile trovare tanti cliché in un solo film, e ancora più difficile è trovarli così affascinanti. Vedo Rosario Dawson e la sua crew di malefemmine killer, la virilità di Clive Owen inebetirsi al confronto, e tanto mi basta.
Sin City affonda lacrime di bellezza come macchie fluorescenti sulla filigrana bianca e nera. Sullo sfondo bicromato della città del peccato si affastella una fauna disperata e irrimediabilmente cool: bulli e pupe, cardinali e paladini, viscidi serial killer e colti mercenari, detective in pensione e gialli bastardi. Perfetto per una serata di pioggia, o di caldo asfissiante, quando la città ti sta stretta, casa tua troppo grande.