Il genere di Saw è stato definito torture porn, soprattutto per l’indirizzo preso dai suoi sette sequel.
E se la denominazione ha un carattere dispregiativo, da un punto di vista produttivo non si può rimproverare nulla a James Wan: senza nemmeno contare l’ultimo Saw: Legacy, l’epopea dell’Enigmista si piazza al terzo posto della classifica delle serie horror più remunerative. Precedono The Conjuring, altra saga più marcatamente horror di Wan, e quella di Alien, che beneficia di budget molto maggiori.
L’hanno chiamato torture porn, tu chiamala sana boccata di disagio. In questo, il primo Saw è maestro. E non solo per il qualunquismo ideologico e i quaquaraquà come vittime sacrificali della ferrea etica jigsawiana. È un film che apertamente gode e fa godere della sua sporcizia. Niente metafore, qui: Adam, nei primi minuti, ha davvero le mani nella merda.
Ma Saw è prestigiatore: concentra la tua attenzione su poliziotti inermi, pupazzi inquietanti, seghetti, cessi, aporie, tecnologia vintage e intanto ti propina, attraverso una lurida patina gore, un messaggio di auto-aiuto del tipo: “Vivi ogni giorno come fosse l’ultimo“.
I due disperati, incatenati ai lati opposti di una stanza, per compagnia hanno solo i loro rimpianti. Non sanno se ne usciranno vivi. E non hanno fatto niente di particolare per meritarsi una simile situazione. Ma Jigsaw è fatto così: ha questa strana idea che la mediocrità medio-borghese sia una colpa.