Ci sono tante di quelle cose che, oggi, non vanno con Via col vento che non val neanche più la pena nominarle. Però lo faremo lo stesso, perché possiate essere preparati prima della visione del film.
Via col vento ha più di 80 anni e come i nostri nonni non si fa problemi ad esprimere idee nazistoidi con la gaiezza di un bambino. Il libro da cui è tratto il film, scritto da Margaret Mitchell, è infatti una sorta di rivincita degli Stati del Sud, che tentarono la secessione dagli USA per mantenere il proprio regime schiavista. E così i neri, per dire, sono raffigurati tutti fedeli, sempre felici di correre in aiuto dei propri padroni bianchi.
Ma anche la distribuzione nostrana ci ha messo del suo. Ecco un esempio della tipica battuta dello schiavo nel doppiaggio italiano: “Signora, mettere altro vestito perghé gosì sembrare donna da gombrare!”. La data di realizzazione del film farebbe pensare ad una trovata del Mascellone, ma purtroppo non è così: la prima edizione italiana è infatti del ’49, quando l’Abissinia era ormai un vergognoso ricordo. Esisterebbe anche un ridoppiaggio del ’77, ma non è molto diffuso. Su Netflix, ad esempio, si trova la prima.
Ma ciò che salva Via col vento, almeno per quanto riguarda i contenuti (perché la forma è uno spettacolo), è la forza delle donne. E non mi riferisco soltanto a quella furia di Rossella O’Hara, ma anche all’inossidabile Melania, alla discreta gentilezza della matrona di un bordello, alla forza terrena di Mami.
La Storia degli Uomini spacca economie, città e famiglie, e dall’interno della società in rovina emerge una nuova comunità che supera le ostilità della passata stagione e le antiche divisioni di classe.
Domani è un altro cult