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The Truman Show (1998)

The Truman Show

Christof is watching you.

E se…?

The Truman Show è un presagio che si è avverato, si avvera, si sta avverando.

Perché in effetti, se consideriamo che nel 1998 tutto quel filone mediatico legato ai reality show aveva appena cominciato ad invadere i palinsesti televisivi, allora Peter Weir e Andrew Niccol (lo sceneggiatore) ci hanno davvero visto lungo. Questa è la storia di Truman Burbank (Jim Carrey), inconsapevole protagonista del programma televisivo che dà il titolo al film. Tutto è finto intorno a lui: le case, le persone, gli affetti, i valori. Tutto fa parte di un immenso set cinematografico perfettamente costruito e costantemente coordinato e diretto dal regista Christof (nome simbolico, non vi pare?), che tutto osserva dalla sua finestra celata dietro la finta luna del finto cielo che Truman osserva ogni giorno della sua finta vita.

Carrey, per l’occasione, ripose la sua faccia di gomma nell’armadio degli abiti di scena, per sfoderare quella che fu la sua prima importante interpretazione drammatica. E ci restituisce un personaggio candido, ironico e sensibile, l’unico uomo reale (True-Man, simbolico anch’esso) in un mondo falso e a tratti inquietante. Sfido chiunque abbia già visto il film a non ammettere di essersi fatto una domanda dopo la visione: “…e se la stessa cosa stesse capitando a me?”. The Truman Show è un nipote acquisito di 1984, meno guerrafondaio del capolavoro di Orwell ma dalla critica ugualmente feroce.

Truman è un attacco al potere dei mass-media, alla TV come strumento di controllo delle masse, alla manipolazione subliminale che la nostra volontà individuale subisce dalle pubblicità, i giornali, internet, lo showbiz. Un attacco anche a noi come spettatori. Nel film, la gente gioisce e piange per Truman, ma a patto che Truman rimanga nel programma. Un film di ormai vent’anni fa ha preannunciato al mondo che, se non stiamo attenti, arriveremo esattamente a questo. Se non peggio. Se già non ci siamo arrivati.

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Robert De Lirio

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