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L’ultimo spettacolo (1971)

Immaginate di tornare nel posto in cui siete cresciuti, passeggiare tra i ricordi e accorgervi che la vostra innocenza non tornerà più.

Raramente i cambiamenti più importanti della nostra vita sono annunciati in grande stile, in modo da renderci conto che stiano effettivamente accadendo. Raramente ci viene concesso di sapere che quello che stiamo guardando sia l’ultimo spettacolo.

Se vi chiedessero qual è stato il momento esatto in cui avete perso la vostra innocenza, si otterrebbero due esiti differenti: o non sareste in grado di risalire a quel passaggio fondamentale, oppure le risposte sarebbero così varie che sarebbe impossibile stabilire un punto comune per tutti. La scoperta del sesso, i primi amori, la fine della scuola, il lavoro, l’incontro con la morte in un freddo pomeriggio di novembre, la guerra, i rimpianti. Viaggiatori incoscienti trasportati dalla corrente dell’esistenza che d’improvviso si scontrano con una roccia casualmente piazzata in quel fiume.

Se non conoscete ancora Peter Bogdanovich, dovreste sapere che oltre ad essere un sapiente regista, è anche un accanito cinefilo. L’ultimo spettacolo del titolo è dunque riferito ovviamente ad un film, l’ultima proiezione nella piccola sala di un cinema di una polverosa e sperduta cittadina del Texas negli anni ’50. Ad Anarene si intrecciano le vicende di giovani liceali e vecchi “leoni” in gabbia, due generazioni allo stesso tempo troppo forti e troppo deboli, imprigionate nella realtà in cui vivono. Sonny e Duane, amici fraterni interpretati da Timothy Bottoms e un giovanissimo Jeff Bridges, innamorati di Jacy, femme fatale interpretata da Cybill Shepherd. Se questo fosse un classico coming of age movie ambientato al liceo vi aspettereste toni da commedia, ma avete già capito che L’ultimo spettacolo tutto è tranne che una commedia.

È invece la metafora perfetta della perdita dell’innocenza, della fine di un’epoca. Non solo per gli abitanti di una piccola cittadina texana, ma per l’America tutta, che negli anni ’50 prosegue con la guerra in Corea un processo iniziato il 6 agosto del 1945, e per il cinema. L’ultimo spettacolo è infatti un canto del cigno per la vecchia Hollywood, attraverso gli occhi lucidi e nostalgici di Peter Bogdanovich che nel 1971 è perfettamente cosciente che quell’innocenza non tornerà più.

 

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