Cos’è meglio di Snowpiercer per introdursi alle mostruose visioni e sublimi distopie delle pellicole sudcoreane? L’esordio in lingua inglese del grande Bong Joon-ho è scorrevolmente hollywoodiano (a partire dal suo protagonista, niente di meno che Chris “Captain America” Evans, che comunque si trova a suo agio con le trasposizioni dai fumetti). Ma il film ha anche quel pizzico di follia e violenza che distingue il cinema orientale (leggi: gente che si mena con le asce).
Lo snowpiercer eponimo è il lungo treno su cui l’umanità – il poco che ne rimane – si è confinata dopo che la Terra è diventata un’immensa pista da sci. Che succede se il treno si ferma? Si muore. Che succede se si esce dal treno? Si muore, come viene insegnato ai bambini ricchi del vagone-scuola. Ogni carrozza è un mondo a sé: c’è la serra, c’è quella dove ti preparano il sushi (ma solo due volte l’anno) e quella del rave con la droga aggratis. Alla testa del treno e della gerarchia c’è Mr. Wilford (Ed Harris), sorta di Grande Fratello che tutto vede e tutto vuole.
I poracci della coda, il cui unico scopo è farsi trattare malissimo, fanno partire una rivolta per ribaltare lo status quo, vagone dopo vagone. Completano i livelli, ottengono nuovi artefatti e conoscenze, conquistano alleati.
Il treno deve andare avanti, è imperativo. E nella stessa direzione si muovono i pazzi personaggi del film, ma sempre all’interno della loro prigione binaria. Snowpiercer è una folle corsa verso morte/rivoluzione/rinascita, confezionata nella ferrea estetica modulare di un videogioco.