La Grande Mela, Anni ’60.
Tale C.C. Baxter, ambizioso impiegatucolo di una big company con i big money, quasi ogni sera presta il suo appartamento ai superiori per le loro abituali scappatelle extraconiugali. La chiave di casa fa tortuosi giri per il vasto ufficio, da contabilità a HR, da sales a management, nel tentativo di rendere il più possibile discreti gli insoliti passaggi di mano. I vicini impiccioni, a sentire tutto quel saliscendi, si sono convinti che il piccoletto sia un dongiovanni impenitente.
In mezzo alla spessa coltre di pressapochista avidità, d’un tratto appare quell’adorabile espressione di donna che i mortali chiamano Shirley MacLaine. Qui interpreta Fran Kubelik, addetta a uno degli ascensori della big company, che fa girar la testa a tutti quegli stolti incravattati, della quale Baxter è naturalmente innamorato cotto.
Il proverbiale cinismo del regista Billy Wilder per una volta lascia un po’ di spazio a una certa tenerezza. L’appartamento è così sia il perfetto film per innamorati, sia un conforto al vetriolo per lo spettatore solitario.
Due curiosità: il pugno che il fratello di Fran dà a Jack Lemmon fu dolorosamente vero, mentre le dimensioni della sala degli impiegati della compagnia d’assicurazioni sono simulate. Fu realizzata attraverso una prospettiva forzata: vennero utilizzate persone e scrivanie sempre più piccole man mano che ci si allontanava dalla cinepresa: in fondo, in giacca, cravatta e telefono all’orecchio, sono dei bambini a fingere di stipulare polizze assicurative.