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Ho sparato a Andy Warhol (1996)

ho sparato a andy warhol

Dobbiamo pur sentire l’altra campana!

Perché penso che una Cult-O-Matic debba suggerire Ho sparato a Andy Warhol? Il fatto che io debba parlare di American Psycho per parlarvi di Mary Harron risponde a questa domanda: il mondo è degli uomini (ricchi).

Quattro anni prima di parlare della mente criminale di quel figurino bianco  di Christian Bale nei panni di un consulente finanziario dell’upper class newyorkese, Harron aveva già diretto un film su un’altra mente criminale, sempre fuori dall’ordinario: Valerie Solanas, una scrittrice geniale tristemente nota ai più solo per aver leso la maestà (ok, non solo quella) di Andy Warhol.

Una clochard sfacciata, una donna povera ma ostinata nella sua fede (più che fiducia) in sé stessa, lucida nella provocazione di considerare gli uomini nient’altro che un’aberrazione della coppia cromosomica XX e cinica nella rassegnazione con cui prostituisce il suo corpo pur di continuare a scrivere il suo Manifesto SCUM (Society for Cutting Up Men), che autoproduce e rivende personalmente (a 1 dollaro per gli uomini e a 50 cent per le donne). Proponeva la sostituzione del genere maschile confidando nella piena automazione, ma non avreste potuto (impunemente) definirla femminista, perché considerava fallimentare l’idea che le donne si dicessero una “categoria vulnerabile” (e non la popolazione tutta, l’intero genere umano).

Su Valeria Solanas esistono interi saggi, inserzioni, libri e articoli, tutti scomposti e spalmati nel tempo e nello spazio. Come per tutte quelle personalità che per stile ed eterogeneità non riescono a simpatizzare con alcun circolo culturale, non è possibile restituire d’un sol colpo la complessità di Solanas. Come si può parlare senza pregiudizi di una persona che denunciò un giornalista per aver scritto di lei che il giorno in cui sparò ad Andy Warhol indossava una gonna?

Be’, Harron ci riesce e lo fa volgendo lo sguardo all’intero contesto in cui viveva Solanas. Anziché farne un’apologia e raccontare morbosamente degli abusi subiti dal padre o banalizzarla seguendo la narrazione mainstream che a buon gioco si è affrettata a derubricarla (e infine dimenticarla) come “disperata scrittrice in cerca di fama” , Harron si concentra su quel miscuglio di paura, genio, alienazione e tedio che animava i collettivi più eccentrici di New York, cui neppure Solanas sfuggiva, con le sue eccentriche visioni sul mondo e i suoi esasperati programmi per la società. Nel film si abbassano i toni del tribunale politico e si racconta una prospettiva storica. Così, ad esempio, il circolo della Factory non è più solo un gruppo di artisti sovversivi ma anche e soprattutto una manciata di snob borghesi che getta con sdegno la sceneggiatura di un’opera irriverente e provocatoria (Up Your Ass!) finendo per perderla. Lo stesso Andy, portato fuori dalla bolla aurea di sacralità e divinazione, viene rappresentato come un quieto ometto biondo che si esprime a monosillabi; troppo eccentrico per l’establishment e troppo poco audace (forse persino banale) allo sguardo di Solanas.

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Il ritmo del film è rapido e intenso senza essere claustrofobico o ansiogeno: i soliloqui della protagonista in bianco e nero sono incisivi e brevi, le inquadrature sui personaggi sono voyeristiche ma distaccate, la ripetizione quasi ossessiva della vita di Solanas in strada e il catcalling selvaggio che faceva alle donne che incrociava sono sconcertanti ma esilaranti, la miseria della perversione maschile in tutta la sua naturale normalizzazione incoraggia all’empatia e infine la mite atmosfera di inedia e di gioco della Factory rassicura il nostro istinto sociale di poter godere ancora dell’aura beata della borghesia.

Bastava Solanas a fare di un film un capolavoro, ma è magistrale la sapienza con cui Harron mostra di saper manipolare le strutture psico-sociali dei caratteri ai margini della società moderna. Anche per questo Ho sparato a Andy Warhol è un film così prezioso: perché sia chiaro che su una donna e povera, scrittrice ed esigente,  radicale e non-femminista, non sia possibile dire solo una cosa, dare una sola versione, condannarla all’oblio o assolverla del tutto.

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Informazioni sull'Autore

Mia Ansia-Love

Quando pensi che il romanticismo non faccia per te e poi t'innamori dei film francesi, quando ti senti un'immigrata perenne e poi ti dicono "radical chic", quando studi il pensiero degli uomini per poi accorgerti che le donne sanno già tutto da sempre nasce Mia Ansia-Love: una persona che dirige l'ansia per poterla amare.

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