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Febbre da cavallo (1976)

Febbre da cavallo

La prossima volta che direte a un incapace di darsi all’ippica ci penserete due volte.

Potrei parlarvi di Gigi Proietti ed Enrico Montesano, di “cicatun cicatun“, di Manzotin, di mandrakate, di fischi maschi senza raschi, di Soldatino, King e D’Artagnan. Ma Febbre da cavallo è un super cult e sono sicuro che tutti sappiate più o meno se sia il caso di vederlo o rivederlo. Quindi per parlarvi di questo film voglio raccontarvi un aneddoto di vita reale, capitatomi in data 19 settembre 2017, perché spiega meglio di qualsiasi altra cosa (ed eventualmente senza spoiler) cosa sia realmente la febbre da cavallo. Ma l’ora dei preamboli è finita, è ora che si vada a incominciare. A tessere la trama e poi l’ordito, a svolgere, cucire e ricamare. Che squillino le trombe signori spettatori, inizia la commedia, che parlino gli attori.

“Ore 1:45.
Sto costeggiando l’aeroporto di Ciampino mentre mi dirigo verso la mia dimora.
Dopo aver accuratamente centrato ogni singola pozzanghera, laureandomi campione olimpico di acqua planing, svolto a sinistra per attraversare il sottopasso della ferrovia.
In prossimità dell’incrocio, nel senso di marcia opposto, ecco una panda bianca.
Immagino debba svoltare, altrimenti perché passare di lì. Ha la precedenza, così mi fermo e aspetto che svolti.
Non ha la freccia, non ce l’ho nemmeno io. Sono quasi le due di un lunedì notte, o martedì mattina, e piove. Non c’è bisogno di convenevoli come segnali di luce lampeggianti, sappiamo entrambi cosa fare. 
Invece no. 
Lui non lo sa.
Rimane fermo. 
Mi appresto allora a passare io, quando lui mi si fa incontro e abbassa il finestrino. 
Faccio appena in tempo a pensare “Ecco, è finita. Sto per diventare Tupac” mentre a mia volta abbasso il finestrino, quando mi accorgo che è un signore sulla settantina. 
Vuole parlarmi. 
Alle due di notte. 
Sotto la pioggia. 
Mi affianca e ha lo sguardo perso, sembra spaventato. 
Penso già a quale forza dell’ordine interpellare per denunciare la fuga di un anziano signorotto con la faccia paffuta dalla sua casa di cura. 
Penso anche a tutte le cose belle che mi sono successe nella vita, perché non posso escludere ancora che non tiri fuori il ferro e mi scarichi una tempesta di pallottole addosso. 
Lo guardo e non dico nulla.
Lui prende fiato e pronuncia, probabilmente con le ultime forze che ha in corpo, le parole che mi hanno gelato il sangue nelle vene: “Scusi, saprebbe miha dirmi indove devo anddare per l’ippodromo di Haselle?”
Paralizzato dall’orrore, ho razionalmente interpretato: “intende Capannelle?”
Lui mi guarda quasi commosso e dice: “Sì, Hapannelle”.
Era a meno di un chilometro da “Hapannelle”, io l’ho mandato sul raccordo in direzione Fiumicino. 
Perché con quella c aspirata e quell’umorismo da quattro soldi, i toscani hanno devastato questo paese.”

Cosa aggiungerebbe potrebbe un narratore a quanto già narrato dall’attore. Son lieto di aver fatto questo ballo, parlando della febbre da cavallo. A me non resta altro che sparire, fare un bell’inchino e poi svanire.

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