Per un cortometraggio, Nanni Moretti si fece riprendere mentre girava in vespa per Roma. Del filmato gli piacque una certa leggerezza, la moto i viali le case, da lì nacque Caro diario. Ne venne fuori un blog d’artista.
L’artista guarda alla realtà con alterigia, una malcelata superiorità verso le noie del quotidiano: le incombenze della vita: figli, case, tende, gli hobby; e ancora andare al mare, la Mercedes, l’Ulisse di Joyce, e poi gli acciacchi, l’agopuntura: la malattia. Moretti lo sa, e un po’ se ne vergogna, di questa sua predella.
Sa di doverci delle scuse: insomma, chi mai si crede di essere, con quell’aria da intellettuale decadente (e pure di sinistra!)? E allora si pianta lì, nudo sul letto d’ospedale: è alla sua ultima seduta di chemio e dice: sì, sono uno stronzo, ma ad esempio a me sarebbe piaciuto saper ballare, a volte cerco un posto tranquilla e altre mi va di far baldoria (ma anch’io me ne pento subito), ho a che fare con amici capricciosi, dottori che sanno parlare ma non ascoltare. Anch’io, come te, sono un’isola.
Ma non c’è nulla di straordinario in questo, è solo vita. E in fondo pensi che basti un motorino, un casco bianco e un pianoforte per scorrere lievi sull’asfalto e andare avanti: non importa dove, solo un po’ più in là.
E con Caro Diario succede che ti commuovi.
Non sai perché, ma la causa dev’essere in superficie. O nella leggerezza. L’insostenibile leggerezza di Nanni Moretti.
“Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Anche in una società più decente di questa, mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza”.
Caro diario, anch’io.