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Sound of Metal: una lettera d’amore ai tuoi defunti timpani

Sound of Metal

Si piange, si poga e non si sente un tubo.

Derek Cianfrance, nella sua vita, un po’ di donne le ha amate.
Con passione ed in maniera disastrosa, per certo, basta vedere quei gioiellini dei suoi film come Blue Valentine Come un Tuonoche ti riducono a fine visione come una larva singhiozzante per terra.
Quello che non sapevamo di Derek, e che scopriamo in Sound of Metal, è che suona la batteria e soffre di acufene, quella roba terribile che ti ritrovi un fischio perenne nei condotti uditivi.
Cianfrance mischia le due cose (la batteria e cercare di morire d’amore, s’intende) e ‘sto suo soggetto si fa un giro lungo nove anni, finendo nella mani dell’amico Darius Marder, che sforna il film approdando su Prime Video a fine 2020.

Sound of Metal racconta la storia di Ruben (Riz Ahmed), batterista Metal che, con la compagna e frontman del gruppo Lou (Olivia Cooke), porta avanti il loro tour in giro per l’America. Durante un concerto, i timpani di Ruben scoppiano come due popcorn: perde l’87% dell’udito in maniera definitiva. Nella coppia, oltre a quello di portare avanti la loro musica ed il loro lavoro, subentra un problema più grave: Lou è terrorizzata che Ruben, disperato per quello che gli è successo, ricada nel tunnel dell’eroina.
La ragazza decide dunque di portarlo in una comunità dove tutelano i non udenti affinché non ricadano nell’uso di sostanze stupefacenti.

Eccoci, vi ha preso sottogamba pure a voi, non è vero?
Io quando avevo premuto Play sull’immagine di Sound of Metal, con un Ruben a petto nudo, dietro le pelli, tutto sudato e sudicio e pieno di tatuaggi punk mi sono detto: “Ora mi gusto questo Whiplash distorto e bello ignorante sparato alla velocità della luce in un tunnel che è una siringa di qualcosa di molto stupefacente”.

Sbagliato. Sound of Metal, come gran parte delle cose che ha ideato Cianfrance, è un film dalla scorza dura che nasconde dentro qualcosa di molto fragile e prezioso.
Il percorso di Ruben è sfaccettato e complesso: dal panico assoluto quando perde l’udito, alla rabbia di essere finito in una comunità e non poter più suonare, alla speranza di poter guarire con un impianto, alla tranquillità ed accettazione trovata dentro una comunità, fino all’irrequietezza di guarire e tornare a suonare con Lou.

Perché dunque questa mutevolezza nel personaggio di Ruben? Abbiamo la risposta sempre sotto il naso.
Il protagonista di Sound of Metal è un tossico.
E (purtroppo), privato dell’udito, si comporta da tale anche in quello, non avendo la sua dose giornaliera.

Anche perché l’udito non rappresenta soltanto un handicap: il suono, la musica, la band, Lou, il suo amore, i suoi sogni… per Ruben è tutto collegato e tutte quelle cose rappresentano la sua salvezza, oltre che la sua stessa identità.

Forse, la parte più bella ed importante è proprio il finale di Sound of Metal: catartico, liberatorio, una bellissima lezione sull’accettarsi ed amarsi anche quando si è toccato il fondo e si deve ricominciare (per l’ennesima volta) da zero.

Sì, tranquilli, nessuno spoiler ma si è già capito che se piagne, se soffre per amore e via dicendo.
Abbiate un po’ di pazienza, per cortesia.

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