Una parola. Ancora una parola su Zerocalcare, su come la serie Netflix Strappare lungo i bordi ti abbia fatto capire il mondo, piangere, ridere e riflettere e io giuro, giuro che elimino il mio e l’abbonamento di tutta la palazzina (come ho accidentalmente fatto con l’antenna delle tv quando sono arrivata nel condominio, storia vera). Guardate: sono così nauseata da ‘sta storia che me ne voglio fregare della SEO e di far trovare quest’articolo a Google: io “Zerocalcare” non lo scrivo più. D’ora in poi lo cripto.
Però vi meritate una spiegazione. Perché a me ‘sta serie è pure piaciuta. Sì, mi è piaciuta. Cioè: l’ho vista in un paio d’ore, di domenica, sbracata sul letto ergonomico offertomi in sacrificio dalla mia vicina di casa che si è trasferita in quel posto lontano e freddo chiamato Nord-Italia. E mi è piaciuta. Ho speso due ore della mia vita per guardarla. Perché mi è piaciuta. Ricordatelo durante la lettura della recensione.
– Ho, come sempre, apprezzato i disegni.
– La storia è decisamente credibile ed è facile trovare un personaggio con cui immedesimarsi.
– Lo stile di Zer0c@lcare è sempre un sacco godibile: schietto, un po’ dolce, un po’ passivo-aggressivo. Lo amavo prima, lo amo adesso.
Mi è piaciuta tutta la descrizione di casa sua come il territorio di Westeros combattuto da cavi elettrici, scatoloni e divani.
Ma lui è ancora spettatore. Con questo non voglio dire che non abbia sempre dimostrato di essere impegnato politicamente, di avere cura di quello che succede nel mondo e di portarlo sempre con sé nelle sue storie. Ma questo è il suo personaggio: lui è l’unico vero erede delle sue stesse briciole sul divano. E questo lo dice. In tutti i modi. Bisogna scindere le intenzioni che esprime attraverso il personaggio di Zeroc@lcare, da quello che Michele Rech finisce inevitabilmente per essere in un panorama, come quello italiano, in cui la sinistra si è completamente arenata.
E anche di questo, nei suoi tipici atteggiamenti maschili e vittimisti, Michele Rech sembra essere consapevole: e infatti Zerokalkare va di cuore, ascolta il proprio disagio e, cosa più importante, ammette la supremazia etica delle amiche. Tutto quello che è eticamente rilevante in Strappare lungo i bordi, infatti, viene dalle amiche. Il pregio di Michele, non di Zero, è di avergliele fatte dire. Ed io, ad esempio, vorrei sentirne di più. Vorrei sapere più di Sara. E di Alice. Che ne dici, Miche’? Sono convinta che ti troverai d’accordo.
Sì, forse Michele Rech è un compagno, embe’? C’è ancora poca roba interessante per noi donne, per quella popolazione che non può fare a meno di prendere la vita sul serio, perché la vita con noi non scherza affatto. Noi lo sappiamo. Lui lo sa.
E NUN ME VENITE A DI’ CHE I COMPAGNI SO’ INVIOLABILI, eh.
Ho letto di un tizio che su #zerocalkare ha scritto: “nun ce provate: Zzeroh è un militante che è riuscito ad arrivare ar pubblico blabla quanno noi de sinistra semo sempre stati du gatti etc. [salute!]“
Così ho avuto l’illuminazione. Ecco che cosa odio di ‘sta storia di z3rocalcare: “gli amici suoi”.
Rifletteteci: Michele Rech è un fumettista di talento, un militante, uno di noi, uno di quelli che ancora ci prova a riflettere su questo groviglio di cavi, scatole di cartone e divani abbandonati che è la nostra presenza nel mondo. Ma è solo un amico (maschio). Un amico de noiartre. Tutt’altro che la soluzione di tutti i mali del mondo!
E invece niente, da questa parte dobbiamo per forza fare così: piagnistei e salamelecchi. “La cicatrice non passa, è come una medaglia che nessuno ti può portare via”; “alla fine purtroppo uno se rompe er cazzo de inseguì le persone, pure perché c’ha ‘nsacco de cazzi sua e pensa: ‘vabbè, ma se lei ‘nze vole fa aiutà non è che uno la può costringe. Mica so mandrake!'” e, la più quotata, “sei cintura nera de come se schiva la vita”. Sembrava una specie di #challenge: trovate tutte le metafore che non sono ancora state nominate di Strappare lungo i bordi.
Macché, davero? Non stiamo parlando di chissà che agilità etica. E parlo anche con le amiche “femministe”: Michele è come uno di quegli amici i quali, a fronte di mezzo secolo di politica delle donne, hanno capito che è l’ora di smettere di credere nei loro padri e di riporre troppa fiducia negli amici per concentrarsi sulle conversazioni con le amiche come Sara. Dunque: il problema di Strappare lungo i bordi sono “i suoi amici”, quelli che lo difendono e ci leggono più di quanto lui stesso pretenda di fare. La fortuna di Michele è evidentemente avere delle amiche pazienti, intelligenti e che hanno molta cura di lui.
E nun è nemmanco il suo regionalismo. Ok, è vero: l’orgoglio romano è un po’ prepotente e la nonchalance con cui nelle conversazioni e in contesti eterogenei impongono le loro abitudini linguistiche talvolta dà un po’ di prurito. È un fatto che il romano medio registri picchi di lascivo interesse a considerare la rilevanza della differenza (non solo linguistica) delle persone cui si rivolgono [ndr, alla metà della redazione romana che mi sta leggendo: venite a prendermi qui nel profondo sud, amunì!]. Ma Michele ci sta simpatico (figuratevi che, nella mia mitomania, mi sono convinta che un giorno, per qualche secondo, si sia preso una bella cotta per la sottoscritta. In effetti: avevo dei bellissimi capelli verdi un po’ sbiaditi e stavo un incanto quel giorno. O, più probabilmente, nel riflesso dei suoi occhi ho guardato me stessa guardarmi innamorata di me stessa. Ad ogni modo, è stato un bel momento d’amore e gli ho voluto bene).
In conclusione: Strappare lungo i bordi è una serie decisamente godibile, scritta, disegnata e diretta da un fumettista di talento e socialmente impegnato. E per questo gli auguriamo la stessa fama internazionale dei Måneskin.
Ma per l’amor di Diana, basta co’sta mitomania progressista e lagnosa: “se volemo guarda’ ‘na serie, non fare psicoterapia!”.