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Perché ci interessa tanto Maid, la storia su Netflix di una domestica

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Si respira aria pulita con Maid, la serie prodotta dalla casa di produzione di Margot Robbie (LuckyChap Entertainment). Se riesci a sopportare l’ansia e il disagio iniziali (ho sentito dire a più d’una persona che pensava fosse una serie dell’orrore), la miniserie Netflix mette pace e quiete a tutte le anime che la guardano.

Ma prima bisogna superare il rigetto di dover vedere (anche su schermo) le infinite ingiustizie che subisce una giovane madre in fuga da un giovane violento.

Maid: la protagonista, la trama, il realismo

Comincio subito col motivo, del tutto futile e personale, per cui mi sono convinta a vederlo: il ruolo di protagonista di Margaret Qualley (attrice, modella e ballerina dell’American Ballet Theatre). L’avevo vista nello spot della Kenzo (che potete trovare nella nostra CulTv in fondo alla home) e me ne ero innamorata. E ci ho ritrovato tutto: le sue espressioni, la consistenza spessa della sua apparente ingenuità e l’incredibile talento nella performance di un ritmo spigoloso e concitato.

La trama di Maid è piuttosto semplice (avrei detto persino “banale”, ma, ahinoi, sembra che la violenza domestica, istituzionale e sociale contro le donne non lo sia mai): mamma in fuga da uomo violento. Alexandra (Margaret Qualley) conosce Sean da giovanissima (nella serie ha 25 anni), in un bar in cui lei spesso recitava le sue poesie (prima della gravidanza, infatti, scriveva già ed era una giovane promessa delle Fine Arts dell’Università del Montana). I due s’innamorano, lei diventa madre, lui – fra una birra e l’altra – le lancia addosso tutte le sue frustrazioni…e non solo! Lei decide di scappare nel cuore della notte con la figlia. Lui avvia le beghe legali. Lei deve ricostruire la sua vita economica e spirituale, mentre per continuare a prendersi cura di sua figlia è costretta ad imparare la lingua complessa dei tribunali e dell’abbandono sociale.

Maid è un “maschi contro femmine” senza un briciolo di retorica. È tutto (in)credibilmente credibile.

  1. Come nella maggioranza dei casi (a causa della socializzazione eteronormativa e della scarsità di vantaggiose opportunità economiche), le donne di Maid hanno problemi riconducibili alla co-dipendenza con gli uomini.
  2. Pochissime donne sanno riconoscere le dinamiche di abuso da parte maschile, anche a causa dello “stigma della vittima”. Così, quando Alex deve trovarsi un alloggio e un lavoro, all’operatrice dell’ufficio di collocamento dice che non vuole togliere diritti ad altre donne in situazioni “peggiori”. Si sente un’impostora a definirsi vittima di violenza, perché Sean non l’ha ancora picchiata (sic!) e lei non sa come spiegare la situazione senza temere di esagerare.

Credibile, sostanziale e pregno di significato è anche il rapporto di Alex con la madre (aiuta forse che Margaret Qualley sia davvero la figlia di Andie MacDowell?).

Maid su Netflix: amore immediato per la miniserie con Margaret Qualley

Maid è una serie sui “padri violenti contro le madri”. Paula (Andie MacDowell, appunto) è un’artista potente e decadente, una madre premurosa ma anche un’ex vittima di violenza che, dopo essere scappata via da giovane con una piccolissima Alex, torna nel suo Paese, vive come una hobo e instaura relazioni tossiche e di dipendenza affettiva con altri uomini. Uno dei personaggi che ho preferito di MacDowell (che noi purtroppo ricordiamo soprattutto per gli spot della L’Oreal), Paula è una mamma non proprio raccomandabile, ma quello che mi ha fatto esultare dalla gioia fino alla fine della serie è che lei è anche uno dei punti fermi e profonda fonte d’amore per la protagonista.

Come Alex, Paula scappò da Hank (il padre di Alex) quando non poteva più sopportarne la violenza. Non c’è prepotenza né volontà di vendetta nella scelta di lasciare il compagno. Paula si vive la propria condizione di reietta sociale, inventando una realtà alternativa di divinità femminili, natura magica ed energie creative, mentre Hank si ripulisce nella Chiesa Cattolica e si rifà una famiglia. Dal canto suo, Alex non ha bisogno di rigettare lo stile di vita (e il discutibile sistema di sopravvivenza) della madre, perché non è la madre l’imputata. Il capo d’imputazione è la violenza e nella sua vita ha il volto del padre: di suo padre Hank che picchiava la madre quello del padre di sua figlia, Sean (riuscirà il nostro eroe a non ripercorrere la stessa strada del suocero?).

C’è sicuramente una differenza fra la storia dei genitori di Alex e quella fra lei e Sean: a tratti (da sobrio), Sean sembra davvero amarla, anche se per lo più sembra aver bisogno di lei. Ed il bisogno, si sa, s’intreccia bene con la prepotenza. Infatti: mentre davanti alla violenza e ai soprusi di Sean, Alex scappa con la figlia Maddy – non chiama un’avvocata, non interpella le famiglie, non cerca riparo o difesa fra le amiche – Sean invece lo fa. Ma è solo questa la ragione per cui entra in gioco il tribunale.

In effetti: Maid non è un tribunale: non c’è salvezza né condanna dei personaggi, né un premio per le loro virtù né sanzione sociale delle colpe. Per esempio: pur avendo tutti i requisiti per essere il princ- l’ingegnere azzurro che la salva da tutti i mali, il personaggio di Nate (padre single, bello, ricco e generoso innamorato di Alex) non viene promosso a co-protagonista della storia. Dall’altra parte, invece, nei suoi caratteri chiaroscurali il personaggio cattivo Sean è tutto sommato un uomo con cui si riesce ad empatizzare. Persino il padre di Alex, che l’ha abbandonata, ha la sua chance di cambiare il proprio percorso narrativo nella storia della protagonista e a tratti s’intravede il profondo disagio di non riuscirci. Paula, la prima ereditiera della storia di violenza maschile non è indennizzata dalla propria storia di sofferenza e a tratti risulta essere quasi una vera e propria antagonista.

Maid: una storia vera, una storia pulita

Sarà che la miniserie di Molly Smith Metzler si è ispirata alla storia vera della scrittrice Stephanie Land, ma è evidente la lucidità e la schiettezza con cui la storia dei rapporti fra donne e uomini (rappresentata in primo luogo dalla relazione fra Alex e Sean) si risolve sempre nella rete della relazione fra donne.  Realisticamente (e statisticamente) infatti le donne in fuga dalla violenza maschile (psicologica, fisica, sociale, istituzionale) si ritrovano nella relazione con altre donne, professioniste e vittime, che le supporta nel percorso di ritrovamento della propria autonomia (psicofisica, sociale, istituzionale). Questo circuito è l’unico infatti che, mentre rispetta i tempi della propria autocoscienza, fornisce veri e propri strumenti di “cittadinanza” autonoma. Ciò che è evidente nella serie è che questo circuito non è affatto un sistema etico ideale, ma una rete che nasce dall’intreccio faticoso dei bagagli e delle prove di coraggio di ogni componente.

Credo che sia per questo che Maid è riuscita ad entrare nel cuore di tutti.

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È una storia ristoratrice quella di Maid, adatta ad ogni clima, a tutti gli umori e a tutte le età. Lo guardi se sogni una vita regolare ma sana, se ami il languore profondo dei film drammatici ma non ti arrendi alla disillusione, se sei femminista e vuoi vedere un po’ di giustizia senza sorbirti i cliché. Perché Alexandra sembra appena nata nel mondo: chiede al sistema quello che noi ci siamo abituate a credere di non poter cambiare o per cui semplicemente abbiamo barattato ogni nostra forza, ogni più piccola fiducia. Alex non è portavoce di tutte le donne ma per la figlia e con le compagne di viaggio costruisce la sua propria storia.

Non da ultimo, si sentiva davvero il bisogno di una buona miniserie che in 10 episodi tira fuori tutto il pianto che hai conservato negli ultimi 10 anni.

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Mia Ansia-Love

Quando pensi che il romanticismo non faccia per te e poi t'innamori dei film francesi, quando ti senti un'immigrata perenne e poi ti dicono "radical chic", quando studi il pensiero degli uomini per poi accorgerti che le donne sanno già tutto da sempre nasce Mia Ansia-Love: una persona che dirige l'ansia per poterla amare.

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